Il termine per la riassunzione del giudizio interrotto per effetto del fallimento decorre dalla data di trasmissione, a mezzo PEC, della domanda di ammissione al passivo se questa reca notizia del procedimento sul quale l’evento interruttivo ha inciso (Cass. Civ., Sez. I, 18 aprile 2018, n. 9578)

di Morena Pirollo.IMG_2529

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: la dichiarazione di fallimento di una delle parti determina l’automatica interruzione del processo, con termine trimestrale per la sua riassunzione decorrente dalla data della conoscenza legale dell’evento, che ne ha causato l’interruzione estesa, per la curatela fallimentare, anche alla conoscenza della pendenza del processo. Tale conoscenza legale deve essere acquisita non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento assistita da fede privilegiata, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato e conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell’intervenuta interruzione, avente natura meramente ricognitiva.  Idonea a determinare la conoscenza legale della pendenza del giudizio interrotto a causa del fallimento, per il curatore, è l’istanza di ammissione al passivo a quest’ultimo trasmessa  a mezzo PEC e recante il riferimento, quanto al titolo giustificativo dei crediti invocati, al procedimento interrotto.

La stessa Suprema Corte ha anche precisato che nessun rilievo, al fine di negare la riconosciuta idoneità all’istanza di ammissione al passivo trasmessa al curatore, può assumere il precedente di Cass. n. 5650 del 2013 che ha sì escluso che la conoscenza “legale” possa essere fornita dall’indicazione della pendenza del giudizio nella domanda di ammissione al passivo ma con riferimento ad un giudizio in cui tale domanda era stata proposta anteriormente al 2012 (anche se in un fallimento dichiarato dopo il 2006), dunque in ossequio all’art. 93 L. Fall. nella versione ratione temporis vigente, che individuava nella cancelleria del tribunale (e non nel curatore) il destinatario della trasmissione della domanda di ammissione al passivo del fallimento.

Inoltre, se da una parte l’istanza di ammissione al passivo produce tutti gli effetti della domanda giudiziale, la cui trasmissione, in via telematica, all’indirizzo di posta certificata comunicato dal curatore costituisce l’unico mezzo per proporla, dall’altra proprio tale modalità di comunicazione è pacificamente equivalente, ai sensi dell’art. 48, commi 1 e 2, D. Lgs. n. 82/2005, alla notificazione a mezzo posta, sicché è idonea, proprio perché rientrante in una di quelle modalità comunicative (dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa assistita da fede privilegiata) di un evento, in mancanza di prova contraria, a dimostrare la conoscenza legale dell’evento medesimo da parte del destinatario (Cass. n. 21375/2017).

Né persuasivo appare l’assunto che la domanda di ammissione al passivo, così come la comunicazione del progetto di stato passivo da parte del curatore fallimentare, benché recanti riferimento al giudizio interrotto, nulla specifichino in merito al fallimento che tale interruzione ha determinato, essendo il curatore nominato proprio per effetto della pronuncia del fallimento, che, quindi, non può ignorare.

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